Rinfrancati da dodici ore di sonno, ci sentiamo pronti a fare il giro degli inferni (jigoku) di Beppu. Dato che siamo dei tirchi stakanovisti, abbiamo ben pensato di girarli tutti a piedi, ignorando un dettaglio fondamentale: la distanza. Se questo poteva essere sopportabile per i primi quattro chilometri in salita per arrivare ai sei inferni piu’ vicini, di certo non lo era per i due chilometri e mezzo aggiuntivi necessari a vedere gli ultimi due jigoku, che hanno dato il colpo di grazia al piede del nostro Dottor House (Andrea).
Ma cosa sono questi inferni? Si tratta di fumose pozze di acqua a una temperatura tra i 95 e i 100 gradi centigradi che svariano tra colori spettacolari e statue pacchianissime. Davvero degni di nota sono l’inferno del mare (Umi Jigoku, una gicantesca pozza di colore azzurro) e l’inferno della pozza di sangue (Chinoike Jigoku, di colore rosso), gli altri, pur piacevoli, non lasciano particolarmente il segno.
Molto buone le uova cotte in questa acqua e dei grossi “ravioli” contenenti chissa’ cosa che il tizio del bancone ci ha gentilmente spiegato come mangiare appena vista la nostra inabilita’.
Nella via del ritorno all’albergo, e’ stato deciso che era necessario mangiare del fugu, il pesce palla, animale alquanto velenoso se cucinato male. E’ stato quindi trovato un ristorante specializzato nella sua preparazione. Un luogo decisamente di classe dove era persino presente una cameriera che si preoccupava di preparare il cibo al tavolo. Ed il nostro era l’unico tavolo occupato.
Non si abbiano aspettative troppo grandi per il fugu, alimento famoso perlopiu’ per la difficolta della sua preparazione. La consistenza e’ gommosa e il sapore non e’ sembrato niente di eccezionale. Ma si sa, i gusti son gusti.
Finita la cena, doppio bagno nelle terme interne all’albergo, provando sia l’onsen piu’ artistica (privata) sia il bagno pubblico, entrambi molto validi.